Filippo Bacciu - Vescovo di Ozieri

 

  Il Vescovo

 

II Canonico Parroco della Cattedrale Teologo Filippo Bacciu, nel concistoro del 30-11-1896, dopo la morte di Mons. Gorrias avvenuta a Ghilarza, in esilio, lontano dalla sua sede, venne da Leone XIII, preconizzato Vescovo di Ozieri.

Quando i raggi del sole dai riflessi d'oro mandavano il primo bacio alle marcate cuspidi dei monti Sa Pianedda e Ololviga, e incominciavano a illuminare l'immensa distesa delle campagne popolate di roveri, elci, sugherie e di nuraghi appollaiati come nidi d' aquile, sulle ruppi scoscese, la notizia gli pervenne per telegrafo a Buddusò, ove si trovava in seno alla famiglia, per un breve periodo di riposo. I compaesani improvvisarono calorose e sentite dimostrazioni di affetto.

Anche ad Ozieri la sua elezione fu accolta da tutti i cittadini con vivo entusiasmo. Autorità civili e militari si trovavono tutti uniti nel festeggiare il nuovo pastore. Un'immensa fiumana di popolo plaudente lo accolse con fervide manifestazioni di giubilo.

Nella Cattedrale, parata a festa e gremita di fedeli, ricevette la consacrazione episcopale da Mons Antonio Maria Contini, Vescovo di Ampurias e Tempio, il giorno 4-4-1897. Presero parte alla funzione, come consacranti, per dispensa della Santa Sede, i reverendissimi signori canonici Pietro Maria Campus Arciprete del Capitolo e Giovanni Maria Virdis, canonico seniore, che poi succedette al Campus nella dignità dell' Arcipretura.

Il neo eletto scelse per stemma: due angeli svolazzanti in atto di baciarsi con fraternità d'intenti, e impugnanti con le destre, uno l'emblema della giustizia: la spada, l'altro quello della pace: il ramoscello d'olivo, con il moto: Justitia et pax osculata sunt. (la giustizia e la pace si sono baciate). Psalmus 84 II

Il novello pastore successore di luminose figure di vescovi, si rese ben conto del grave peso del suo pastorale ed attinse sopratutto dal Cielo quelle forze che la sola natura, per quanto felicemente dotata, non poteva assolutamente prestargli. Pose la nuova dignità al servizio delle anime, procurando sempre più di alleviare le miserie materiali e morali di quelle popolazioni affidate alle sue cure.

Dio guidava dolcemente e misericordiosamente le file degli avvenimenti per mettere sul candelabro questo lume fulgente, che stava sotto il moggio e che ben presto avrebbe irradiato lontano lo splendore delle sue virtù e della sua prudenza, il miele della carità, l'energia della giustizia, la ricchezza della pietà, la serenità della pace.

Questa elezione venne a spandere immediatamente un atmosfera di quiete e di gioia non solo tra i canonici del capitolò, ma di quanti gradatamente ne appresero la notizia.

Come ritrovò la sua sposa? Così, come l'arca del Signore, custodita nei tabernacoli, tutta decoro e santità, troppo lontana da quella gloria che le era riserbata ai tempi di Salomoue. I suoi predecessori l'avevano curata con zelo e dotata di qualche ornamento; ma era riserbato a Mons. Bacciu di abbellirla e sollevarla a dignità di «regina che stesse in piedi alla sua destra, adorna di aureate vesti e circondata per ogni intorno di varietà » Psalmus 44, II.

Parleremo in seguito di preziosi drappi per coprire pareti, altari di marmo, tabernacoli di metallo, apparati pontificali, degni del sacrificio, paramenti sacerdotali, sfolgorio d'argento ed oro.

Dio l'aveva creato Vescovo per essere il consigliere e il confidente dei sacerdoti, affidati alle sue cure. Non gli restava che di uniformarsi e di prepararsi. Da quel momento tutti i bisogni di 24 parrocchie e di decine di migliaia di abitanti pesavano su di lui. Veniva a trovarsi a capo di una diocesi vasta, ed egli che tale responsabilità provava, al vivo, s'immerse nella preghiera, l'unica cosa che poteva dargli tranquillità e luce, serenità e pace, poiché da quel momento, lungi dall'appartenere a sé stesso, avrebbe dovuto immolarsi ai disegni di Dio, ai molteplici bisogni dei suoi diocesani, alle gravi esigenze del nuovo ufficio.

Quel che maggiormente gli premeva si era di infondere nel cuore del clero il disgusto per le cose della terra che generano dissensioni, e lotte e accendere il desiderio di quelle superne, che inondano lo spirito di soavità, d'armonia, di pace. Per questo nelle riunioni tenute nell'aula capitolare o nell'episcopio, faceva alta sentire la sua parola di padre e di maestro. E durante i suoi discorsi l'attenzione del clero e i loro cuori venivano conquisi e trascinati dalle parole che lo Spirito del Signore metteva sulle labbra di lui, e che avevano un' unzione ed un allettamento speciale.

Era notevole in lui un vivissimo ardore per le discussioni che vertevano su questioni di principio: le accompagnava però con una visibile benevolenza verso gli avversari, ai quali si affrettava a dare i segni dell'usata cordialità, per mostrare quello che sentiva in cuore.

Ogni qual volta riuniva i suoi sacerdoti li esortava con molto spirito e infondeva nelle anime un grande fervore e possedeva il segreto inestimabile di sapersi cattivare i cuori anche nelle reprensioni.  

Ad un parroco che riferendogli un giorno l'infelice riuscita di una salutare iniziativa in seno ad una società religiosa, si lamentava perché «il diavolo ci aveva messo la coda » egli rispose : «qualche volta siamo noi che non ci mettiamo la testa».

Ad un altro che faceva sfoggio di abbondante ricchezza della sua cantina, gli troncò la parola in gola dicendogli di rimando: «cantina ricca, chiesa povera». L'umanità, virtù socievole, era propria del Vescovo. Chi più umano di lui? A niuno era negato il suo accesso, niuno esponeva ragionevoli suppliche che non fosse ascoltato, ninno implorò giustizia che non fosse esaudito, ninno fece appello alla sua generosità che non ne sperimentasse gli effetti, niuno si trattenne in amichevole colloquio con lui che non rimanesse soddisfatto.

Sull’esempio del Divino Maestro amò teneramente tutti e con imperturbabile serenità sapeva adattarsi all'indole, al genio, all’inclinazione di ognuno. Qualche volta ha dovuto cedere alla dignità per essere soprafatto dalla umanità. Tutti i sacerdoti da lui consacrati, sanno quanto egli si sia prodigato per la loro educazione spirituale, morale e culturale.

Tutti coloro che l'hanno conosciuto ne portarono attraverso la vita un fedele e costante ricordo. Visitava spesso il seminario. Amava tutti i seminaristi con affetto paterno, però aveva una predilezione particolare per i giovani che si sentivano chiamati ad abbracciare la vocazione ecclesiastica.

Che fa nel suo studio l'artista? Prende la materia grezza, la contempla col lampo dei suoi occhi, la scruta minuziosamente in tutte le parti, la sviscera: poi misura di un balzo tutto il paziente lavoro dal quale dovrà uscire il fantasma di bellezza che egli vagheggiava nella sacra fiamma del suo genio creatore. Inizia la sua opera, da il primo colpo, con polso fermo, deciso, e continua il suo lavoro attento, paziente, con lo sguardo fisso al modello della sovrana beltà ch'egli vuol riprodurre.

Così il nostro Vescovo, nella diffìcile arte della formazione religiosa, dell' educazione ed elevazione delle anime a Dio, meditava, modellava, scolpiva e trasformava. Se qualche difficoltà minacciava di sfrondare i teneri virgulti del suo giardino egli era sempre pronto a rianimarne lo spirito e a fornire quei mezzi che giudicava più acconci per far rifiorire la vita.

Penetrava nel cuore dei giovani che non abbandonava mai, ne dirigeva la facoltà, disciplinava la volontà, suscitava in loro sensi di generosità e li avviava verso una meta che ne assicurava la tranquillità di coscienza.

Nel seminario voleva che tutti formassero un uomo solo, un/anima sola. Il preside era il padre, i superiori erano altrettanti fratelli, gli alunni i fratelli minori. Voleva che la vigilanza fosse ispirata all'amore e alla soavità. Raccomandava ai superiori l'amore agli alunni per guadagnar la mente ed il cuore, allo scopo di piegarli dolcemente al bene, ed ottenerne il timore, la confidenza, la docilità. Con tali norme, era solito dire, anche i discepoli meno buoni, i diffidenti, i difficili, i discoli, attirai i dalla bontà paterna, si lasciano piegare e vincere diventando obbedienti, studiosi e buoni amici. E’ sempre col bene che si vince il male: «vince in bono malum ».

Mons. Bacciu fu anche fervido missionario della crociata mariana per la conquista del mondo a Gesù per mezzo di Maria, coi mezzi che Ella ci ha indicato: mezzi che rappresentano, da una parte, quel minimo di meditazione e di orazione vocale richiesta dai Dottori San Tommaso e Sant’Alfonso per la salvezza eterna, dall’altra quella dolce scuola mariana insegnata da Manfort che è la più efficace per indurci all'imitazione di Cristo.

Chi ama Iddio nella persona di Gesù, ama anche quella donna bella e pura, che nei disegni dell' Eterno fa destinata ad essere Madre del Verbo e a partecipare al mistero della redenzione del cenere umano. Maria è un nome caro alla cristianità.

Dal tenero frutto di un amore materno, che nei vagiti della culla cominci a balbettarne il nome, fino al cadente vegliardo che ne invoca con fiducia la protezione sul letto delle sue agonie, tutti i credenti circondano di all'etti gentili la Vergine Nazarena.

I santi non han potuto disgiungere l'amore di Dio da quello della sua Vergine Madre perché sono come due note che si sprigionano dalle corde frementi di una medesima arpa, armonizzanti in un solo ritmo.

Questa divina armonia assorbiva in un unico affetto tutte le potenze spirituali del nostro Vescovo che ebbe sempre, il pensiero ed il cuore, rivolti a Maria la cui figura scolpita sul candido marmo troneggia sull'altare maggiore della sua bella cattedrale.

Con sfarzo liturgico ne solennizzava con amore le feste e ne raccomandava a tutti la divozione pregando particolarmente le giovani di ascriversi tra le Figlie di Maria, agli uomini di dare il loro nome alla società dell'Immacolata, ed accrescere il numero dei confratelli della Vergine del Rosario.

Inculcava, per primo in diocesi, la massima venerazione alla Madonna del Sacro Cuore; e chiamava i fedeli a raccolta per prender parte a tridui, settenarì, novene e pellegrinaggi indetti in onore della Vergine delle Grazie, di Loreto, di Monserrato, del Carmelo e del Rimedio le cui statue rendono sacre le chiese omonime che circondano Ozieri: città di Maria.

Infervorava il popolo a moltiplicare lo zelo per il ritorno di tante anime a Dio, e non tralasciava di indire solenni riti di ringraziamento in onore della Divina Missionaria che in tutte le vicende più trepide della storia, fu sempre accanto al suo popolo, tra cui c'era ancora tanto rigoglio di vita, di desideri, di propositi.

Incitava gli animi a confidare nella divina misericordia più volte sperimentata nella storia degli ultimi tempi, nei quali Iddio ha fatto vedere che dopo tanti mali ha suscitato tanti beni: dopo il protestantesimo la controriforma del Concilio di Trento, dopo la rivoluzione francese e la burrasca napoleonica i trionfi di Pio VII, ecc. addita al clero e al popolo l'immenso campo di lavoro che s'impone per il rifiorimento delle vocazioni, delle opere caritative, e per il rigoglio di vita di desideri e di propositi. Tutto affidava a Dio, alla protezione della Madre Celeste, allo zelo dei sacerdoti e dei laici, richiamando tutti ad un generale ritorno alla fede dei padri.

In un discorso tenuto nella cattedrale, denunciava con coraggio, la subdola persecuzione condotta allora in Italia contro l'insegnamento religioso nelle scuole. Tra l'altro egli riaffermava che al disopra di ogni autorità e potenza umana esiste l'autorità di Dio con i suoi comandamenti, da osservarsi senza distinzione di tempo e di luogo, di patria e di razza, che il singolo individuo possiede dei diritti personali, che nessuna società e nessun stato può togliere senza offendere la volontà di Dio e mettere in pericolo la salvezza dell' uomo.

In un altro discorso inveì contro le società segrete che tentavano di minare l'unità della Chiesa, in cui, tra l'altro, affermava che «si ferisce proprio questa unità, quando si nega ai cittadini credenti la libertà di lede e di coscienza». «Noi - concludeva - resteremo irremovibilmente fermi, avvenga ciò che può avvenire nella nostra fede che Gesù Cristo è la nostra via, la nostra verità, la nostra vita, ora e sempre».

Aveva il cuore sensibilissimo al triste annunzio della perdita di una persona cara. Quando vedeva spezzati dalla morte i vincoli di parentela o di amicizia, nata dalla comunanza degli stessi ideali, provava un intenso dolore, però era sempre pronto a sottomettersi alla volontà di Dio, padrone della vita e della morte.

Squisita pure era la carità del Vescovo verso le persone alle quali doveva riconoscenza e gratitudine. E la sua azione benefica si occupò anche del bene materiale e spirituale di quelli che vivevano in mezzo ai trambusti del mondo.

Ogni qual volta usciva, dall'episcopio, la sua felicità era di incontrare i bambini. Come il Divino Maestro, egli aveva una predilezione spiccata per la fanciullezza. Volentieri avrebbe detto «lasciate che i pargoli vengano a me «ma non vi era bisogno, poiché gli andavano spontaneamente incontro; a gara gli correvano dietro, lo circondavano chiassosi e sorridenti e pieni di gioia baciavano l'anello, sia pure col nasino un po sporco.

Per tutti aveva la solita esortazione: «Fate da bravi.... ubbidite i vostri genitori.... frequentate la chiesa, il catechismo, la scuola, allontanate i cattivi compagni..., pregate, pregate sempre».

                                                 
                                         
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