Filippo Bacciu - Vescovo di Ozieri

  

Il Canonico Parroco

La provvidenza spingeva gradatamente in alto il giovine sacerdote: non faceva che salire verso le vette. Uomo di grande equilibrio mentale, ricco di tanti doni e prerogative che lo rendevano accetto a Dio e agli uomini. Era una lampada che non poteva rimanere sotto il moggio.

Nel 1875, in seguito a concorso, vinto con splendida votazione, venne nominato Canonico – Parroco della Cattedrale di Ozieri. Gioì per il nuovo vasto campo di bene che gli si apriva. Nel suo mirabile lavoro non badava alla fatica, che qualche volta rappresentava per la natura un dovere non facile, ma che l'interno ardore tramutava sempre in occasiono di bontà e di sorriso, di prontezza e di premura. Sorretto da un equilibrio costante in tutta la sua vita cercò di lavorare da buon soldato di Cristo e della Chiesa.

Si studiava di istruire i fanciulli, di sollevarli innanzi a se stessi, abbellirli di nuova dignità, di formarne dei cittadini utili alla patria e dei cristiani convinti ed osservanti. Li illuminava nell'intelligenza, li purificava nel cuore, in una, parola, specie nell'insegnamento del catechismo, coltivava, amorosamente tante anime lavate dal sangue di Cristo.

E i giovani che cominciavano a sentire il bisogno di riflettere su sé stessi in una forma di analistica introspezione, osservava attentamente per scorgere il primo affermarsi della personalità, per aiutarlo nella formazione del carattere, facendoselo amico. Era l'araldo di quel Gesù il quale venne a portare il fuoco sulla terra e non desiderò altro che di accendersi.

Era un vero maestro di spirito e soprattutto educatore, un forgiatore e plasmatore di coscienze, incaricato della formazione di tutto l'uomo. Sentendo la penuria di ministri del santuario nell'urgenza del lavoro apostolico, passava in primo piano il problema delle vocazioni.

Suscitava e raccoglieva le vocazioni, servendosi all'uopo della preghiera e dell'azione individuale e collettiva, e soprattutto dell'efficacissimo mezzo dell'esempio di una vita sacerdotale integerrima e sacrificata. Oggetto delle sue spirituali cure era pure l'uomo, l'uomo adulto che già ha compiuto la sua definitiva scelta per la vita, che si è impegnato per una data professione, che si è scelto una sposa e con lei ha formato una famiglia.

Non dimenticava la classe operaia che è una realtà viva. La giudicava come un segno di una commovente solidarietà umana che poteva essere la base di edificante solidarietà spirituale.

Volete la fortuna ? - diceva ai lavoratori - perseverate nel lavoro. « E' degno l'operaio della sua mercede.» San Paolo - Timoteo, V, 18. In ogni tempo il lavoro addolcisce la vita, nulla è impossibile all' attività, e dove non c' é lavoro, non c' é piacere. La fatica, lo sforzo di concentrare e dare una forma armonica a una materia, costruisce la condizione essenziale alla felicità dell'essere umano. Ricordava che il lavoro è per l' uomo un bisogno, come il cibo ed il riposo e che gli « allori non cadono in grembo a nessuno, essi esigono la posta di tutta la vita» Jhereng - Die Lorbeeren fallen niemand in den Schoss, sie erfordern den Einsatz den Einsatz des ganzen Lebens.

« Ove l'ozio signoreggia, ivi non riluce raggio d'ingegno, ivi non vive pensiero di gloria e d'immortalità, ivi non apparisce ne immagine, ne pur mostra vestigio alcun di virtù ». T. Tasso - Orazione per l’ apertura dell’ Accademia.  

« Assai è tristo colui che potendo avere il fuoco si lascia morir di freddo, avendo il cibo innanzi si lascia morir di fame». S. Caterina da Siena - Pensieri e sentenze 16.

E ai datori di lavoro indirizzava le parole di San Paolo: «Padroni, date ai vostri sottoposti ciò che è secondo la giustizia e l'uguaglianza, sapendo che anche voi avete un padrone nel cielo». S. Paolo - Colossesi, 111. 26.

La tenera devozione alla Vergine Immacolata, il fiore immacolato ed olezzante della pietà cristiana, la premurosa titolare della sua parrocchia, lo trasse all'acquisto di molte virtù e formò l'oggetto preferito delle sue predicazioni. Profondo nei concetti e fiorito qualche volta anche nella forma, celebrava le prerogative di Maria, la sua potente intercessione, la sua bontà e misericordia. Molte società sorsero e fiorirono sotto la sua oculata direzione.

In una delle più suggestive pagine del « Quo Vadis » Vinicio domanda all'apostolo Pietro: «La Grecia creò la bellezza e la sapienza; Roma la forza; ma i cristiani che ci recano mai? »  « Noi rechiamo l'amore», risponde Pietro.

E l'amore predicava il giovine parroco perché seguace del Cristianesimo che è la religione dell'amore, è fondato sull'amore e predica all'umanità una legge di amore, di un amore che è Dio, di un amore che è Gesù Cristo, di un amore che è speranza e ideale di vita.

La missione del Parroco era come quella di Gesù nella terra: missione di bontà e di luce. Gesù passava in mezzo alle folle spargendo con divina generosità le sue beneficenze, comunicando i suoi doni, stendendo la sua mano che guariva. Il parroco inebriato della letizia dello Spirito Santo, come gli apostoli, sotto la pressione dell'amore di Dio, illuminato da una fiaccola di luce, predicava l’amore, la salute e la vita spirituale, ai fedeli alle sue cure affidato. Annunziatore di pace e di giustizia a tutti voleva rendere felici, di una felicità pura, elevata feconda di bene. Voleva bandire dai suoi parrocchiani lo scetticismo più o meno blasfemo, il pessimismo più o meno rassegnato, lo sconforto e la disperazione,

« Sono malato e infelice » scriveva con profonda tristezza Gabriele D’Annunzio un pò prima della sua morte. Ultime parole vergate da colui che aveva scritto un'intera biblioteca di opere per cantare il piacere e farne l'idolo unico di tutta la sua vita. Gli mancava la fede.

Il canonico parroco raccomandava come condizione indispensabile della vera gioia, la ricerca di Dio, l’adesione a Lui, l'accordo della nostra volontà alla sua, una vita vissuta secondo il dettame della sua legge. Ripeteva che un'anima, totalmente cristiana può essere veramente e pienamente lieta.

Un Vangelo apocrifo ci dice che gli abitanti di Nazareth avevano dato a Gesù il nome di «Suavitas», amabilità, dolcezza, e che ne era nata l'espressione: «eamus ad suavitatem, ut hilares fiamus » : andiamo all'amabilità per acquistate allegria.

L'araldo del Signore visitava gl'infermi ai quali  dava suggerimenti di rassegnazione con paterne parole di conforto e andava loro ripetendo le parole di Cristo: «Non si turbi il vostro cuore... La vostra tristezza si cambierà in gaudio... Domandate e riceverete... Beati coloro che soffrono...». Sovveniva le classi indigenti d'aiuto, di consiglio di danari. Era l'apostolo di pace degli uomini con Dio, con sé stessi, col prossimo.

Era caritatevole : di una carità disinteressata, profonda, completa. Una carità che permetteva di annullarsi nell'ambiente, di stare in ascolto di ciascuno prima di giudicare, di comprendere anche quando non era facile, di aiutare quando sembrava inutile, di correggere anche quando sembrava impossibile. Soprattutto la sua cordialità era assolutamente disinteressata, sia sul piano materiale, sia su quello intellettuale, così riusciva simpatico a tutti.

Era coraggioso. Tranquillamente fermo nel proprio mondo spirituale, pur immerso nel mondo di tutti, possedeva quella calma audacia, che permetteva di colpire nel momento e nel modo necessario, che non aveva paura di mettere a nudo scabrosità ed errori da qualunque parte gli venissero. La calma audacia era testimonio delle verità che serviva. Sempre in vista della « centesima pecora ». Lasciava dietro di sé tutto quello ch’era sterile e inutile, e guardava sempre un passo più oltre sul ritmo dell’ umanità in cammino.

A Terranova Pausania, l'odierna Olbia, appartenente alla diocesi di Ampuria e Tempio, prese parte attiva alla conciliazione amichevole di una terribile controversia sorta tra due famiglie. Gli implacabili nemici, anche con luttuosi fatti di sangue, sfogavano l'odio che traboccava dai loro cuori esasperati.

Alla commovente scena in cui le famiglie contendenti, schierate di fronte si davano l'amplesso fraterno con formale promessa di una pace duratura e sincera erano presenti, oltre un numero straordinario di persone, canonico Bacchi e tre vescovi sardi: Diego Marongiu presule di Sassari, Serafino Corrias vescovo di Ozieri, e Mons. Filippo Campus vescovo di Tempio, tutti e tre preconizzati da Pio IX nel concistoro del 34 novembre 1871.

Fu veramente un fatto meraviglioso il vedere uniti insieme, in una sola mente ed in un solo cuore, uomini già divisi tra loro da, odi inveterati, da intestine discordie e da furibonde inimicizie, pronte a scoppiare in vendette. Oh quanti apostoli di pace della sua tempra occorrerebbero per ristabilire e consolidare nel mondo la vera pace, dopo l'attuale tragico e decisivo sconvolgimento.

 Essendo parroco della cattedrale istituiva e promoveva speciali devozioni a Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, alla Vergine di Lourdes, e adornava la chiesa di altarini e arredi sacri, con le offerte proprie e del popolo che egli sapeva muovere con la sua parola pronta ed efficace. Allora offerse anche la vistosa somma di 10 mila lire per sanare le strettezze finanziarie della sua parrocchia.

In vista dei suoi meriti, venne annoverato tra gli avvocati onorari di San Pietro. Il Santo Padre Leone XIII, in occasione del suo Giubileo Sacerdotale, volle dargli un attestato di riconoscimento per le sue speciali benemerenze decretandogli la Croce Pro Ecclesia et Pontifico. Anche il governo del Re, nel 1899 lo insignì della Croce di Ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Attaccattissimo alla Sede Romana ed al Vicario di Cristo curò sempre l'Obolo di S. Pietro. Eppure in tanta attività riusciva a trovare il tempo anche per i suoi diletti libri, per lo studio che prediligeva. Nella libreria si chiudeva lunghe ore a meditare sui testi italiani e latini, mentre ogni occasione era buona per approfondire e consolidare la sua veramente straordinaria cultura. Questa capacità di ordinare tutta una così vasta attività, stupiva i suoi amici.

La varietà delle sue occupazioni era tale da disorientare chiunque, come lui, non possedesse la sua prudenza, il suo calmo equilibrio dinamico. Mortificava il corpo affinché non si ribellasse allo spirito.

                                           
                                        
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