Filippo Bacciu - Vescovo di Ozieri

  

Lasciò al seminario un legato per la fondazione di una borsa di studio in favore di studenti poveri chiamati allo stato ecclesiastico.

Il seminario tridentino si poteva allora definire: Chiesa e casa. Più che residenza esso era nido famigliare. Le abitazioni individuali sembravano celle, avevano le pareti bianche, aria e luce e semplicità nei mobili austeri.

Nella sua stanza il collegiale si raccoglieva in se stesso e si dava al lavoro in silenzio. ivi la vita diventava, preghiera diaria. Fra i suoi muri il tempo scorreva calmo e tranquillo. All’alba di ogni giorno si ascoltava la Messa, con la recita di preghiere in comune; la sera al suono dell’« Angelus », si diceva il Rosario, e dopo i pasti, il collegiale, cercava in ginocchio la sua via. All’inizio dell’anno scolastico aveva luogo un breve corso di esercizi spirituali. II collegio compiva anche la sua missione di aiuto allo studente bisognoso che sentiva la vocazione ecclesiastica, Esso godeva la «piazza» o «mezza piazza» che gli dava diritto, in tutto o in parte, all’alloggio, al vitto e all’esonero dalle tasse.

Gli studenti nel seminario indossavano l’abito civile, con blusa oscura, stretta alla vita da una cm­tura. Quando uscivano fuori, sia per l’assistenza pontificale, per processioni, passeggio, ecc. indossavano la veste talare con polsini rossi, un soprabito senza maniche con piccola mantelletta a volute e il tricorno con fiocco serico.

In questo provvidenziale istituto, casa di preghiera, di studio, di educazione, appartenente un tempo ai gesuiti, venivano accettati giovani studenti elementari e ginnasiali di ogni età, di diverse tendenze e di diverse condizioni. Superato l’esame di licenza ginnasiale ognuno aveva la sua via: liceo o filosofia.

Molti professionisti, già laureati in diversi rami, ricordano anche oggi, con imperituro affetto e con viva riconoscenza, la vita serena e tranquilla passata tra quelle vetuste mura sature di sapienza e di timor di Dio.

I vecchi condiscepoli di qualsiasi grado e condizione, fraternizzano oggi con lo stesso amore di ieri e sono più che contenti quando l’uno può essere di conforto e di aiuto per l’altro.

Nel beneficare la gente badava alle persone ed al luogo perché: « non ciò che offriamo, ma il modo in cui lo offriamo, determina il valore del dono. Soltanto ­il vero amore del prossimo nobilita la beneficenza».[1]

Mons.Bacciu, tutti i sabati, per tutta la vita, dava nell’episcopio, verso le 11 del mattino, l’elemosina ai poveri di tutta la città e non dimenticava, ogni giorno, neppure quelli che numerosi affluivano dagli altri paesi.                        ..

«All’Istituto delle Suore Filippine erogò dal suo una somma non inferiore alle 10.000 lire. Fu pure generoso verso tutti gli Istituti di beneficenza esi­stenti in questa città (Ozieri). Provvedeva la cattedrale della «Via Crucis» in tela del Prof. Morgari, di ricca tappezzeria in damasco alle colonne, facendo anche dorare a sue spese i fregi di stucco esistenti nella navata di mezzo, spendendovi notabili somme. Ora pochi anni l’arricchiva di un bel parato in lama d’oro, di un artistico leggio, di due candelabri, di un tronetto di metallo dorato. E’ stato generoso e prodigo verso il suo Seminario Tridentino, per il quale spese somme non indifferenti. Non lasciò mai mancare al popolo il pascolo della divina parola, fu esatto nel disimpegno delle funzioni inerenti al suo ufficio, scrisse e mandò un centinaio di lettere pastorali e circolari ».[2]

«Zelantissimo nel culto divino istituì e promosse nuove devozioni atte a rassodare la pietà. Attaccatissimo alla Sede Romana e al Vicario di Cristo, continuò a curare sempre in modo speciale l’opera dell’obolo di San Pietro, della quale bene intendeva e cercava di far intendere agli altri Ia grande importanza religiosa e sociale, essendo appunto l’obolo che dà ai Papi il mezzo di provvedere ai bisogni sempre crescenti della Sede Apostolica ».[3]

Durante le ferie, a Buddusò, offriva ogni anno, il pranzo a tutti i poveri del paese e spesso li aiutava col suo obolo generoso.

Il Giovedì Santo di ogni anno, ai dodici poveri scelti per la lavanda dei piedi, offriva, in episcopio, un lussuoso pranzo festosamente imbandito. A ciascuno degli invitati, con cordiale generosità, donava la posata con tovagliolo e piatto.

Ai sacerdoti che vivevano in strettezze finan­ziarie, procurava spesso anche degli indumenti e agli altri più abbienti raccomandava la parsimonia ed il «quod superest» del Vangelo.

Prima di iniziare la santa visita, Mons. Bacciu, era solito indirizzare ai singoli parroci della diocesi una lettera circolare nella quale caldamente li esortava perché, durante la sua permanenza in mezzo a loro, il vitto fosse semplice, frugale e non eccedesse dall’ordinario.

Un parroco, trascurando la disposizione vescovile, credette rendere ancor maggior omaggio al suo amato superiore col far allestire un pranzo lussuosissimo.

Alla mensa. come al solito, si discorreva animatamente, con molta famigliarità e si mangiava con appetito.

A metà pasto, il Vescovo, si alzò in piedi e dopo di aver recitate sommessamente le preghiere di ringraziamento con bel garbo guardò i commensali, poi senza ombra d’inquietudine disse:«buon proseguimento» e sii ritirò in camera.

Per il parroco quell’atto fu una doccia di acqua fresca e gli servì di lezione per le visite successive.

Se pure, qualche volta, i tronchi nodosi stendevano i ramoscelli delle loro foglie a formare, in diocesi, come un pallido velo diafano, apparivano gli strappi da cui appariva il sole e piovevano le grazie carezzate dal profumo dei fiori della carità cristiana.

Il piacere dei grandi - dice un filosofo e matematico francese - «è di poter fare la gente felice»[4] e il Dossi nelle sue Note Azzurre afferma che «il miglior sistema filosofico di tutti è quello di Gesù: il sistema della benevolenza ».

La carità - dice San Francesco di Sales - è come il sole in tutta l’anima per abbellirla dei suoi raggi, in tutte le facoltà per renderle perfette, in tutte le potenze per moderarle, ma nella volontà, come in un seggio, per risiedervi e farle accarezzare e amate Dio sopra tutte le cose»

Queste belle parole del gran maestro di spirito nella direzione delle anime si veggono pienamente avverate nel nostro Vescovo, il quale con le altre virtù predilesse la carità e l’amore di Dio, che portò nell’apostolato per la salute delle anime.



[1] FR. V Weech

[2] Mons. Luca Canepa- In Memoria

[3] Corriere d’Italia – Il lutto di Ozieri

[4] Pascal-Pensées, 310

Mons. Bacciu durante il suo governo, non solo aiutò con cura paterna e protesse con sviscerata generosità le vocazioni ecclesiastiche, ma formò alla scuola di carità molti sacerdoti i quali sempre nutrivano per lui profonda riconoscenza, portandone il più grato ricordo sino alla morte.

Nel ricordo della prima Messa, celebrata dal Sac. Baimondo Piccoi, in Buddusò, il 25-9-1905, leggesi: «Imploro per l’insigne mio benefattore Mons. F. Bacciu, Vescovo di Ozieri, - che paternamente guidommi al sacerdozio - grazie speciali».

                                                
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