Buddusò 

Monumenti di un epoca millenaria
  

MISTERIOSE FONTI DELLA CIVILTÀ NURAGICA

 

Le più fìtte tenebre avvolgono la storia dei primi popoli Sardi. Fortuiti ritrovamenti han dato preziosa materia di studio per le successive vicende dell'Isola. Intorno alle prime fasi di sviluppo dell'umanità ci hanno tramandato notizie per lo più vaghe e fantastiche, con qualche rara intuizione del vero, numerosi autori dell'antichità.

 Erodoto, Diodoro Siculo, Fiatone, Strabene, parlano di un tempo assai remoto in cui non esistevano i metalli Plinio riferisce che i primi uomini sceglievano per abitazione le caverne. Lucrezio nel « De rerum natura», ricorda che le prime armi dell'uomo furono le mani, le unghie e i denti, le pietre, i rami degli alberi e infine il bronzo ed il ferro.

Neppure l'antichità classica con Catone, Seneca e Tacito, ci ha potuto dare un concetto sia pure embrionale dell'aurora dell'umanità. Cesare ed Ammiano Marcellino han dato informazioni etnologiche. Erodoto offre notizie etnografìche riguardanti gli indigeni d'Etiopia, e Pausania parla dei Sarmati.

Augusto raccolse le armi di pietra scheggiata rinvenute nell'isola di Capri, e Lucrezio fa cenno delle pietre del fulmine. Di queste pietre, nel secolo XI, parla il vescovo di Rennes nella sua pregevole «Dactilothèque », e nel 1181, l'imperatore Alessio Commeno mandò in dono ad Enrico IV una di quelle pietre incastonata in oro.

Il medico Michele Mercati di San Miniato, nel 1541, nella sua opera postuma « Metallotheca Vaticana» pubblicata da Clemente XI, parla della vera natura delle « cerauniae » e delle « silices ». Delle prime scintille del genio creatore degli uomini preistorici ancor oggi rimangono miseri avanzi, del massimo interesse. Queste opere di arte rudimentale non dovevano essere condannate all’eterno oblio.

Dopo una vertiginosa corsa di secoli e di millenni doveva sorgere un sapiente, un taumaturgo, uno di quelli che esercitano l'arte occulta della magia e degli incantesimi, capace di far brillare uno sprazzo di luce fra le più fìtte tenebre del passato. E finalmente questo negromante apparve sulla faccia della terra col nome di archeologo.

L'archeologia, dal greco « arkaios » (antico) e « logos » (discorso), è la scienza dell'antichità per cui mezzo si ricostruisce la vita di un popolo antico nelle sue istituzioni pubbliche e private, nelle sue credenze religiose, nelle sue leggende e nella sua arte. Molteplici sono i rami dell'archeologia. L'archeologia preistorica, di cui si gettarono le basi nel secolo XIX, è lo studio delle antichità umane anteriori ad ogni più antico documento scritto. Esistono certe discrepanze nel fissare con precisione i limiti dell'archeologia preistorica. I Francesi la fanno arrivare all'età del bronzo, i Tedeschi alla conquista romana delle varie regioni dell'Europa e gl'Italiani alla prima età del ferro.

L'apostolo del movimento scientifico che condusse alla formazione dell'archeologia fu il piccardo Boucher de Perthes che fin dal 1828, cominciò ad eseguire scavi ed esplorazioni nei dintorni di Abbeville e negli strati alluvionali della valle delle Somme. Raccolse ossa di mammiferi estinti, strumenti di selce scheggiata. Altri oggetti analoghi rintracciò durante i suoi lunghi viaggi in Asia, Africa e in tutta l'Europa. Nel 1844 offri tutta la collezione del materiale archeologico raccolto al «Museum d'hoistoire naturelle » di Parigi e, due anni dopo, pubblicò il primo volume della sua opera « Antiquitès celitiques et antediluviennes », accolta prima con diffidenza, poi con ammirazione.

Giuseppe Scarabelli, nel 1850 per la prima volta illustrava scientificamente le «armi antiche di pietra dura» raccolte sui colli dell'Imolese. Un più grande orizzonte aprì allo studio della paletnologia la scoperta delle palafitte nella Svizzera. Sotto la direzione del presidente della società archeologica di Zurigo, Ferdinando Keller, vennero eseguite metodiche richerche su antiche abitazioni piantate sul lago.

Presso Arona, nella torbiera di Mercurago, nel 1860, il prof. Moro rinvenne una stazione lacustre. Nello stesso anno Francesco Anca esplorò le grotte del palermitano, pubblicando poi i risultati dei suoi studi.

Il Castaldi, nel 1861, pubblicò cenni su alcune armi di pietra e di bronzo trovate in diverse regioni d'Italia. Nel 1875, dopo gli studi e ricerche di Luigi Pigorini sull'età del bronzo e della prima età del ferro, si fecero notevoli progressi. Ricerche e scavi vennero eseguiti con successo da Giuseppe Bellucci in Umbria, dall’Issel nella Liguria ed in ultimo da P. Orsi nella Sicilia e dal Manno e dal Taramelli in Sardegna.

Tutti questi scienziati presero a cuore lo studio dell'antichità, nei suoi rispetti con la storia e con la arte, esaminando, scrutando con occhio indagatore e col più vivo interesse, com'erano le cose al principio. Nelle ricerche del passato remoto l'archeologo va spesso incontro a difficoltà che potrebbero sembrare a prima vista insormontabili. Però, dopo anni di laboriosissima preparazione, di pazienti ricerche, di assaggi, di esami, di analisi, di confronti, riesce, non di rado, a superare gli ostacoli.

Preziosissimi servizi essi recano nell'aiutarci a risolvere alcuni problemi del tempo in cui gli uomini si erano già allontanati dallo stato selvaggio dei loro predecessori. Non di rado però, anche tra gli archeologi, affiorano diversità di vedute. In genere un edifìcio che non basa su solide fondamenta, presto o tardi crolla e va in rovina. Così la storia non munita dei contrafforti basilari, quali sono i dati e i documenti certi, cede necessariamente il suo posto alle fantastiche immaginazioni. L'arrischiare congetture campate in aria, senza alcun fondamento, spinge chiunque nel ridicolo. E spesso quando si crede di essere già arrivati a chiarire una questione: una nuova scoperta fatta in un altro monumento, ci ricaccia nel dubbio e davanti agli occhi del nostro intelletto rimane fìsso come un fantasma quel punto interrogativo che distrugge tutte le induzioni.

L'archeologia in certo qual modo ha qualche cosa di comune con le iscrizioni etrusche che allorquando sembrano decifrate si capiscono meno di prima. Michellangiolo Gaetani, principe di Teano, duca di Sermoneta, patriota illustre e ministro di Pio IX nel 1848, non credeva all'archeologia. «Ove sono 12 archeologi — soleva dire — sono 13 opinioni diverse ».

Oggi però l'archeologia ha fatto passi giganteschi e gli archeologi sono fari luminosi che diradano le tenebre del passato. Dato il grande silenzio delle fonti documentarie antiche su tutta la vita psichica e sulla storia del popolo sardo pre-fenicio tutte le speranze sono riposte nei risultati delle esplorazioni sistematiche. Il materiale raccolto dagli scavi riesce più che utile a dissipare le fìtte tenebre del passato e a raccogliere preziosi elementi destinati a conoscere il pensiero, la vita, le tradizioni artistiche di questo popolo assertore della giustizia, strenuo difensore dei suoi diritti e dotato di energie vivaci e fattive.

In tutti i tempi, in tutte le regioni, gli scavi sono stati sempre un elemento preziosissimo per l'archeologia. Noi vediamo infatti che anche l'esistenza dello importante stadio dell'incivilimento umano, caratterizzato dall'uso del bronzo, per la fabbricazione delle armi e degli strumenti da lavoro, fu da molti anni negata e discussa da più di una scuola scientifica. Però il materiale largamente scoperto nella Troade e in Grecia, negli scavi dello Schliemann sulla collina di Hissarlik, con la rivelazione degli strati archeologici contenenti oggetti metallici, servirono a mettere in chiaro la realtà delle cose.

I frutti raccolti dalle esplorazioni compiute dalle missioni archeologiche inglesi e italiane nell'isola di Creta, furono spiragli di luce viva. L'opera intensa di investigazione e di studio intorno alle antichità di Cipro, delle isole Egee, di Egitto, dell'Asia Minore, della Mesopotamia, ed altre regioni di Europa, contribuì a diradare i dubbi e portò ad un concetto preciso ed esatto nei riguardi di questo stadio di civiltà che raggiunse gradi superiori d'incivilimento.

In Sardegna la deficienza di molti elementi preistorici, ancora nascosti nelle viscere della terra, lasciava moltissime questioni in sospeso. Oggi però i ritrovamenti fortuiti e in modo particolare tutta una fioritura di materiale archeologico proveniente da scavi sistematici eseguiti in non poche regioni dell'isola, han dato preziosa materia di studio con esiti sorprendenti, molte questioni discrepanti si sono composte in un unico accordo.

La storia della civiltà sarda primitiva che ha nei nuraghi i monumenti grandiosi aspettava un'interpretazione scientificamente sicura, ma oggi le indagini sistematiche archeologiche sono state di grande aiuto a diradare le tenebre del passato. Dalle indagini, per esempio, avvenute nel corso degli anni, si ebbero non solo pregevoli antichità preistoriche ma anche una necropoli di età romana e varie antichità medioevali.

Uno dei più interessanti fra i problemi offerti dall'archeologia della Sardegna è senza dubbio quello che riflette la destinazione dei nuraghi ed il loro svolgimento tipologico e cronologico. Problema trattato dal generale La Marmora, dal senatore Spano, dal Perrot nella « Storia dell'arte », dal Pinza nella « Monografìa sui monumenti antichi della Sardegna», dal senatore Taramelli e da un numero straordinariamente grande di studiosi. Con tutto ciò, molti punti della questione rimasero incerti.

Oggi, esaminando attentamente la loro giacitura, la loro disposizione, i loro caratteri costruttivi e studiando con molta particolarità il ricco e interessante materiale venuto alla luce specialmente negli ultimi scavi si possono trarre conclusioni sicure. Gli spiragli già aperti incoraggiano a tentar più largamente e con mezzi più considerevoli la fortuna degli scavi. La sorgente dei fatti che giornalmente scaturiscono sia dagli scavi come dalle ricerche, parlano in tutta la loro evidenza.

Gli scavi hanno accertato la lunga permanenza di Acte, concubina di Nerone, ad Olbia, ove possedeva vasti latifondi e fabbriche in cui lavoravano gli schiavi. Una non indifferente serie di terrecotte, in parte conservate nei due Musei regionali hanno il bollo di fabbrica con la scritta: «ACES AUG. L. » (Acte libertà di Augosto).

La scoperta di numerose pietre miliari, di rimarchevoli avanzi di selciati, di lapidi terminali, ci danno le traccie delle strade romane che conducevano da Kalaris ad Olbia e a Turris Libisonis (Portotorres).

La scoperta di iscrizioni e di alcuni resti monumentali nel paese di Teulada dimostra chiaro che questo paese è realmente l'erede di Tegula, stazione litoranea, che ebbe durante l'età romana, una certa floridezza.

Pavimenti formati a mosaico tessellato, o da uno smalto di calce o cemento ben duro, tegole ansate, embrici rotti, grossi mattoni, monete in bronzo appartenenti al primo secolo dell'impero e canali coperti di mattoni cotti che captavano acque sorgive, costruzioni seppellite da rottami, stoviglie romane, una lamina opistografa che contiene parte di un diploma militare, una frammento di una lapide romana dedicata al Dio Silvano, custode del «nemoris sorabensis» e numerosissimi altri ruderi più o meno importanti scoperti dal Nissardi nel 1881, presso il paese montano di Fonni, ci han dato per certa la posizione topografica dell'antica stazione di posta o «mansio» romana chiamata Sorabile, ove i soldati « tempore quiescendi», in periodo di riposo, trovavano ristoro e ricetto.

Anche altre numerosissime scoperte, che ometto per amor di brevità, tagliano, corto e chiariscono molte vecchie controversie.

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