Buddusò 


IL NURAGHE ISELLE

Come può esservi un monte senza leggende ? In tutte le epoche e sotto tutti i climi, fate, orchi, gnomi e divinità oscure, mostri dagli occhi grifagni, esseri demoniaci e santi eremiti -ed anacoreti, sembrano aver prediletto in ogni tempo le alture più elevate e solitarie, annidandosi tra il verde delle selve.

Ad oltre un chilometro da Buddusò, sulla strada asfaltata che conduce a Pattada, è un dedalo di roccie corrose e cupe. Sono la porta di un rilievo montuoso. Il colle, a 701 m. sul livello del mare, si chiama Iselle. Ed il colle ha la sua leggenda e la sua storia, tanto intrecciate Funa all'altra che non è possibile scinderle senza sciupare i1) segreto incantesimo. Sulla vetta, qual vigile sentinella, si staglia un nuraghe le cui pietre emanano il sentimento smisurato del tempo.

L'occhio, dall'alto di questo terrazzo, domina un ampio territorio, tra una fuga di monti digradanti alla pianura, e può contemplare una azzurrissima volta di ciclo. In un raggio abbastanza considerevole, ove gli arbusti s'intrecciano bassi, si incontrano le rovine di una cittadella nuragica. Le molte case rotonde che sorgono attorno, non son più che miseri avanzi. Le costruzioni sono disposte ora a fìlari con una certa simmetria, ora a gruppi confusi, ora isolati. I ruderi manifestano ancora la storia di prepotenze, di lotte e di sciagure che per tutte le terre della martoriata Sardegna si ripete con desolante monotonia.

Un muro presso il nuraghe, fatto di grossi massi disposti a strati orizzontali, sostiene una specie di terrazza che ricorda certi « hieron » trovati nella Sabina ed in altri luoghi dell'Italia e della Grecia, ove si rendevano gli oracoli.

Le inaccessibili falde del colle, tutte balze e dirupi, e forre, incutono un senso di sgomento. Ai piedi si spiega l'esteso prato dove la molteplicità morfologica, l'abbondanza dell'antica fauna, e la luminosità della vegetazione, assumono una ricchezza degna di nota, alimentata ancora dalle varie caratteristiche geologiche. La produzione agricola in parte è soddisfacente, anche se l'avverso andamento meteorologico impedisca, a volte, di raggiungere quelle punte che potrebbero costituire un giusto compenso alla tenacia e abilità dei nostri agricoltori. La pianura è solcata, tra un verde umido ed intenso, dal Rio Mannu, che trae appunto le sue origine dall'altipiano di Buddusò.

La traccia del fiume si svolge secondo un alternarsi più o meno continuo di fosse, le quali divengono il rifugio di una ricca fauna acquatica. Quando il fiume è in piena sviluppa una potenza erosiva e di trasporto veramente grandiosa, che si legge facilmente anche sul volto sconvolto ed irregolare del suo grande letto. In periodo di piena ogni comunicazione tra una riva e l'altra s'interrompe e spesso i pastori/gli armenti ed i coloni sostano in attesa di una giornata propizia.

Le terre delle contrade Locuvina, Su Crabione, Sas Mendulas, sono state lavorate passo a passo in profondità per l'impianto e per i lavori dei vigneti, che ora vi prosperano rigogliosi. Spesso scoppia improvviso nell'aria lo sparo del fucile di qualche cacciatore che cerca nelle tane delle siepi le lepri fuggite per i primi freddi dai monti.

Il nuraghe Iselle, rovinato in gran parte, somiglia ad una torre di osservazioni. L'edificio è costruito con cura, anzi — si potrebbe dire — con molta arte. La costruzione non è eseguita a secco ma con malta calcarea e scheggiarne minuto. Esso si allontana alquanto dallo schema usuale dei nuraghi. I ruderi, alti oltre due metri, non c'illuminano sulla pianta normale dell'edifìcio. In origine doveva avere almeno due piani.

Le pietre in parte furono raccolte nel luogo stesso, altre portate dal piano e dalle contrade vicine. I blocchi, considerevoli e pesanti, sono allineati nel modo più preciso, senza superarsi tra loro, in maniera che il muro offre una linea retta, sebbene collocati senza alcuna speciale preparazione. Gli strati inferiori sono formati da massi di grandi dimensioni, mentre i superiori orizzontali sono formati di poliedri irregolari con faccie giustapposte. La porta offre un carattere notevole, non è bassa ne molto incomoda; permette il passaggio ad un uomo diritto e misura m. 1,92 x 1,01. L'architrave ha lo spessore di cm, 50, ha la larghezza di m. 0,74 e la lunghezza di m. 1,55. La nicchia, o colletta di sinistra bassa e stretta, non ha alcuna comunicazione con l'esterno. Le due pareti su cui posano i lastroni di copertura, sono in buona parte costituite da due roccie. La camera centrale, per mezzo di una piccola apertura, comunica con un corridoio che prende la forma di un ogivo. I resti di una rampa o scala ad elica, praticata nel pieno del muro, conducono al terrazzo.

Esistono due camere sotterranee formate da muri paralleli e diritti su cui poggiano i lastroni di copertura. La prima, alta m. 2,86, misura m. 2X0,90; la seconda è riempita di macerie e di cespugli spinosi che ne ostruiscono il passaggio. Per l'esperienza acquistata sulla disposizione interna di questo monumento, ritengo che nella parte sotterranea esistano altri vani più o meno ampi, attualmente ingombri dai massi scivolati dall'alto e coperti di sterpi.

Tanto sull'altipiano come alle falde del colle, ove si sfogarono le brame dei noti scavatori clandestini, si vedono traccie di muri che s'intrecciano in tutti i sensi.

Accanto alla ciclopica mole del nuraghe Iselle, sembra quasi di sentire l'eco delle parole dell'Eclesiaste, provenienti da profondità abissali, ripetere l'ammonimento delle vanità delle cose.

Ricordi lontani riaffiorano, popolando le rovine e il paesaggio di personaggi e di scene mentre l'occhio fruga nelle ombre dei muri per indagare più addentro a queste rovine antiche e gloriose. Qui la storia umana ha lasciato orme che non periscono. Storie di prepotenze, di lotte e di sciagure che per tutte le terre si ripetevano con desolante monotonia. I popoli primitivi della Sardegna, anche in questa zona, come altrove, passarono giorni, mesi ed anni d'angoscia, terrorizzati e fatti segno a rapine, incendi, e stragi dagli invasori crudeli e opposero fiera resistenza ai nuovi barbari, con le pietre, con le rozze armi in pugno. Possiamo ben immaginarli gli uomini di un'epoca antichissima, qui, nella penombra di una camera sotterranea, gli uomini nuragici, dal viso abbronzato, dalla fronte spaziosa solcata da rughe, dalla barba lunga, incolta e nera come ala di corvo. In alto, da un grosso cavicchio infìsso nel muro, pende un cinghiale scorticato ancora sanguinolente. In basso, sul pavimento, tre ripostigli di pietre arrotondate, piccole, medie e grandi, alcune fìonde a striscie di cuoio e un fascio di nodosi bastoni. Eppure furono quegli intrepidi montanari sardi che seppero opporre valida resistenza alle feroci guerriglie dei popoli invasori, che finalmente li costrinsero a prender la via del ritorno, puniti della loro audacia e protervia.

Nel 1819, presso il nuraghe d'Iselle, si praticarono degli scavi durante i quali nella celletta di sinistra, si scoprì una fossa in parte aperta nella roccia e in parte formata dalla muraglia dell'edifìcio: là fu trovato un cadavere che rimonta ad una antichità molto remota, con idoli ed altri oggetti di bronzo.

Nel 1833, Alberto della Marmera riuscì a ricuperare in parte gli oggetti, sebbene dispersi da alcuni anni. Essi consistono in un idoletto che rappresenta un cinghiale, due grossi braccialetti fatti come anelli, una specie di stiletto arrotondato senza punta e con una testa rotonda. Era forse uno spillo crinale. Fra gli altri oggetti di bronzo trovati nella tomba, è andato perduto un idolo che rappresentava una figura umana con le corna, una coda e un bastone forcuto, che dunque aveva tutti 9i caratteri che distinguono le divinità sarde. Nella visita che il Della Marmera fece a questo edificio trovò coi resti d'ossa umane frammiste alla terra nera e fìnissima, frammenti di un vasellame molto grossolano e d'apparenza antichissima. Questa scoperta fu presentata erroneamente, dallo stesso scopritore a sostegno di una ipotesi dell'uso sepolcrale dei nuraghi.

 

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